Italian Italian English English Arabic Arabic
Search

Gli effetti del Coronavirus sui contratti turistici. Primi appunti

LAW FIRM - STUDIO LEGALE PAOLO SPATARO > Law-Firm News  > Gli effetti del Coronavirus sui contratti turistici. Primi appunti

Gli effetti del Coronavirus sui contratti turistici. Primi appunti

La disciplina speciale del recesso dai contratti di pacchetto turistico prevista dall’art. 28, d.l. n. 9 del 2020.

Ma la suddetta norma soprattutto dispone – ed è su ciò che s’intende qui richiamare l’attenzione del cortese lettore – che «In caso di recesso, l’organizzatore può offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, può procedere al rimborso nei termini previsti dai commi 4 e 6 dell’articolo 41 del citato decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, oppure può emettere un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante».

Essa introduce, pertanto, una temporanea deroga all’art. 41, comma 4, d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (recante il codice del turismo, nel testo modificato dal d.lgs. 21 maggio 2018, n. 62, in attuazione della direttiva 2015/2302/UE), secondo cui «in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione, il viaggiatore ha diritto di recedere dal contratto, prima dell’inizio del pacchetto, senza corrispondere spese di recesso, ed al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare».

Più esattamente, dal punto di vista temporale, siffatta deroga vale fintantoché siano prorogate nei luoghi di partenza e di destinazione le misure di restrizione a tutela della salute pubblica; onde, se il viaggiatore intende rinunciare, per sua scelta, a contratti di pacchetti turistici relativi a periodi di tempo in cui l’emergenza sarà cessata, l’organizzatore è legittimato ad applicare le spese di recesso previste dal contratto ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. turismo, ferma restando, sul piano sostanziale, la possibilità di un sindacato giudiziale sulla congruità di tali spese standard, tali da assicurare l’equilibrio tra le reciproche prestazioni contrattuali, anche disponendo, se del caso, una riduzione equitativa della penale, ove stimata manifestamente eccessiva (art. 1384 c.c.).

Tanto precisato, la deroga introdotta dalla legislazione di emergenza segnatamente consiste in ciò, che: nel regime speciale, è l’organizzatore che, in caso di recesso dai contratti di pacchetto turistico da parte dei soggetti sopra indicati, dispone della facoltà di scegliere tra l’offerta al viaggiatore di un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, il rimborso integrale del corrispettivo percepito, senza spese e senza ulteriori indennizzi e, infine, l’emissione di un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante. Nulla impedisce, beninteso, che un organizzatore particolarmente sensibile al gradimento dei propri servizi ed alla fidelizzazione della sua clientela preferisca rimettere l’esercizio di tale opzione alla controparte, così rinunciando alla specifica tutela che la legge speciale ha inteso riservargli: il tenore letterale della norma speciale – ed, in specie, l’uso del predicato verbale “può” in luogo di “deve” – ne rende palese l’istituzione di un regime particolare di tutela dell’organizzatore, al quale quest’ultimo è senz’altro libero di rinunciare.

Per converso, il regime ordinario risultante dalla norma del codice del turismo esplicitamente derogata, sancisce il diritto del viaggiatore ad ottenere il rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, non anche però un indennizzo supplementare; l’organizzatore è dunque tenuto ad adempiere tale obbligo di restituzione nei confronti del proprio cliente e l’eventuale proposta a quest’ultimo delle opzioni di scelta esplicitamente contemplate dalla suddetta norma speciale – ad esempio, l’emissione del voucher – deve intendersi rimessa ad un’esplicita manifestazione di volontà del viaggiatore, contenente un’implicita rinuncia al proprio diritto di ottenere il rimborso dei pagamenti effettuati.

Ad una prima impressione, la norma speciale introdotta dal d.l. n. 9 del 2020 potrebbe trovare ragione nell’interesse pubblico di contemperare, in virtù del diritto costituzionale di solidarietà sociale (art. 2), da un lato, le istanze di un comparto economico in crisi e, dall’altro lato, gli interessi dei consumatori stessi che, in assenza di un simile strumento, sarebbero stati costretti a misurarsi con l’insolvenza o il fallimento di molti imprenditori del settore turistico (e v. infatti, in questi termini, il primo commento di C. CRISCIONE, Natura giuridica e vicende del voucher introdotto dalla decretazione di urgenza, in diritto.it, p. 4).

Tuttavia, ad una più matura riflessione, pare piuttosto trattarsi di una scelta assai discutibile di politica economica: la quale, penalizzando il solo viaggiatore nei termini di seguito illustrati, si pone in aperto contrasto con le scelte compiute dal legislatore europeo nella direttiva 2015/2302/UE, di cui la novellata norma derogata (art. 41, 4° comma, cod. tur.) costituisce attuazione. Non v’è dubbio infatti che la norma speciale miri a salvaguardare esclusivamente gli interessi degli imprenditori turistici, operanti in un comparto fra i più colpiti dall’emergenza sanitaria: l’inevitabile prolungata sospensione delle loro attività rende, all’evidenza, assai difficoltoso – se non impossibile – reperire in breve tempo le risorse finanziarie necessarie ad ottemperare ai divisati obblighi di rimborso. A tal fine, la disposizione speciale ha dunque concesso, mediante lo strumento del voucher, una dilazione temporale all’organizzatore nell’esecuzione delle prestazioni turistiche contemplate dal contratto.

Né varrebbe eccepire – a conforto di un supposto bilanciamento degli interessi delle parti del contratto di pacchetto turistico sotteso all’art. 28, 5° comma, d.l. 9/2020 – che l’omessa deroga al regime ordinario del recesso previsto dal codice del turismo avrebbe sortito l’insolvenza dei tour operators medio-piccoli (il che è, pervero, eventualità tutt’altro che remota), con l’effetto che la posizione del viaggiatore non sarebbe stata certo meglio salvaguardata, restando unicamente affidata ad una domanda di insinuazione al passivo del prevedibile fallimento dell’organizzatore (sostanzialmente in tal senso M. CAPRINO-M. MARRAFFINO, Coronavirus e vacanze annullate: voucher o rimborso? Ecco cosa dice la legge, in Il Sole-24 Ore, 4 aprile 2020).

Giova infatti rammentare che i contratti di organizzazione di pacchetto turistico devono essere inderogabilmente assistiti da polizze assicurative o da garanzie bancarie che, per i viaggi all’estero e i viaggi che si svolgano all’interno di un singolo Paese, ivi compresi i viaggi in Italia, nei casi di insolvenza o fallimento dell’organizzatore o del venditore, garantiscono, senza ritardo su richiesta del viaggiatore, il rimborso del prezzo versato per l’acquisto del pacchetto (art. 47, comma 2, cod. tur.). E siffatta tutela – introdotta dalla direttiva 2015/2302/UE per rispondere alle censure della Corte di Giustizia sull’inefficiente tutela del consumatore sul punto apprestata dalla previgente direttiva 90/314/CE (e v., per riferimenti, R. SANTAGATA, Diritto del turismo4, Milano, 2018, p. 316, nt. 106) – del viaggiatore deve essere assicurata a prescindere dalle cause dell’insolvenza (eventi eccezionali o imprevedibili, imprudenza o negligenza o frodi) dell’organizzatore o del venditore.

Segue. La sua incompatibilità con la direttiva 2015/2302/UE.

Per quanto meritoria sia la finalità di prevenzione dell’insolvenza di organizzatori e venditori di contratti di turismo organizzato perseguita dall’art. 28, comma 5, d.l. n. 9 del 2020 – norma certo eccezionale e di applicazione circoscritta ad un determinato periodo di tempo necessario a fronteggiare l’emergenza sanitaria – di concedere una dilazione ad imprenditori particolarmente colpiti dalle conseguenze economiche dell’epidemia, censurabile è tuttavia la strada scelta dal legislatore per attuarla: anziché contemplare specifici aiuti di Stato alle imprese operanti nel comparto turistico, si è infatti deciso – a “costo zero” per lo Stato – di sacrificare gli interessi economici dei soli viaggiatori, ledendone la libertà contrattuale ed “espropriandoli” del loro diritto al rimborso dei pagamenti effettati all’organizzatore o al venditore, surrogato da buoni (i cc.dd. voucher sostitutivi) che non è affatto detto che i consumatori – anch’essi pesantemente esposti agli effetti economici del Coronavirus – potranno effettivamente utilizzare entro un anno dalla loro emissione. Ed invero, pur volendo prescindere dagli scenari più infausti, non è chi non veda l’enorme frequenza di casi in cui la prolungata inattività del cliente lo costringa a rinunciare alla programmazione di periodi di ferie, rimandandoli ben oltre l’anno di scadenza previsto per i voucher sostitutivi.

Nondimeno, ciò che più interessa qui evidenziare è che, sul piano tecnico-giuridico, l’art. 28, comma 5, d.l. n. 9 del 2020 contrasta con specifiche prescrizioni della direttiva 2015/2302/UE, che per giunta è di armonizzazione massima dei diritti nazionali, sicché neppure una legislazione di emergenza emanata da uno Stato membro dell’Unione può derogare alle sue prescrizioni, a fortiori se a pregiudizio del solo consumatore. L’art. 4 dispone infatti che «Salvo che la presente direttiva disponga altrimenti, gli Stati membri non mantengono o introducono nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla presente direttiva, incluse le disposizioni più o meno severe per garantire al viaggiatore un livello di tutela diverso» (per l’esposizione delle ragioni di tale completa armonizzazione, cfr. R. SANTAGATA, Diritto del turismo4, cit., p. 270 s.).

In particolare, il successivo art. 12 prevede poi che: a) il viaggiatore ha diritto di risolvere il contratto di pacchetto turistico prima dell’inizio del pacchetto senza corrispondere spese di risoluzione in caso di circostanze inevitabili e straordinarie verificatesi nel luogo di destinazione o nelle sue immediate vicinanze e che hanno un’incidenza sostanziale sull’esecuzione del pacchetto o sul trasporto di passeggeri verso la destinazione; in caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico, il viaggiatore ha diritto al rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non ha diritto a un indennizzo supplementare (2° comma); b) l’organizzatore può risolvere il contratto di pacchetto turistico e offrire al viaggiatore il rimborso integrale dei pagamenti effettuati per il pacchetto, ma non è tenuto a versare un indennizzo supplementare se non è in grado di eseguire il contratto a causa di circostanze inevitabili e straordinarie e comunica la risoluzione del medesimo al viaggiatore senza indebito ritardo prima dell’inizio del pacchetto (3° comma). Il concetto di «circostanze inevitabili e straordinarie» è chiarito, con inequivocabili esemplificazioni, dal considerando 31 della direttiva testé citata, ove oltre ai conflitti armati, altri gravi problemi di sicurezza quali terrorismo, calamità naturali come inondazioni, terremoti o condizioni meteorologiche, si menzionano esplicitamente i «rischi significativi per la salute umana quali il focolaio di una grave malattia nel luogo di destinazione del viaggio …che impediscono di viaggiare in modo sicuro verso la destinazione come stabilito nel contratto di pacchetto turistico» (corsivo aggiunto). Onde, l’emergenza sanitaria Coronavirus rientra a pieno titolo nella nozione appena riportata.

Per giunta, non è superfluo rilevare che la nozione introdotta dalla direttiva era già utilizzata in altre fonti europee assai rilevanti nel comparto turistico: si allude all’art. 5, par. 3, reg. n. 261/2004/CE dell’11 febbraio 2004, in tema di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di cancellazione del volo ed all’art. 20, par. 4, reg. n. 1177/2010/UE del 24 novembre 2010, relativo ai diritti dei passeggeri che viaggiano via mare e per vie navigabili. Sennonché, posto che l’opzione del legislatore europeo in tema di pacchetti turistici è stata animata proprio dall’esigenza di uniformarne la disciplina, sul punto specifico, alle scelte già compiute dalle predette normative europee in materia di tutela dei diritti dei passeggeri nelle diverse modalità di trasporto (così A. PEPE, «Circostanze eccezionali» ed esonero da responsabilità del tour operator nella nuova direttiva viaggi, in La nuova disciplina europea dei contratti di viaggio. La direttiva 2015/2302/UE e le prospettive della sua attuazione nell’ordinamento italiano, a cura di A. FINESSI, Napoli, 2017, p. 148); è evidente che l’applicazione dell’art. 28, comma 5, d.l. n. 9 del 2020 conduca all’esito, singolare ed inaccettabile, di salvaguardare l’acquirente di un pacchetto turistico molto meno rispetto a chi abbia acquistato un singolo servizio turistico disaggregato, ossia la sola prestazione di trasporto (marittimo od aereo): la quale, in base alle citate prescrizioni dei suddetti regolamenti europei (a quanto consta non derogate dalla nostra legislazione emergenziale), ha diritto al rimborso del prezzo del biglietto acquistato, del quale è impossibilitato a fruire. Si consideri, infatti, che i recentissimi Orientamenti della Commissione europea in materia dei diritti dei passeggeri in relazione all’attuale emergenza in corso, hanno precisato che, in caso di cancellazione del viaggio ad opera del vettore, se lo stesso propone un voucher, tale proposta non può influire sul diritto del passeggero ad optare per il rimborso (cfr. European Commission, Commission Notice Interpretative Guidelines on EU passenger rights regulations in the context of the developing situation with Covid-19, Brussels, 18 marzo 2020 C(2020) 1830 final, § 2.2.).

Le superiori considerazioni dovrebbero allora convincere il legislatore, in sede di conversione del d.l. n. 9 del 2020, a correggere il testo dell’art. 28, comma 5, prevedendo i cc.dd. voucher sostitutivi quale alternativa al rimborso integrale dei pagamenti effettuati rimessa alla sola facoltà di scelta individuale del viaggiatore: nulla più, insomma, di un “suggerimento” dell’organizzatore che la controparte è assolutamente libera di rifiutare senza alcun dovere di esplicitare le ragioni della propria opzione.

Qualora la norma in commento restasse invece inalterata e non vi fosse alcuna deroga alle prescrizioni della direttiva europea sui contratti di viaggio disposte dalle Autorità europee a ciò preposte, l’organizzatore, sopravvissuto all’attuale crisi di liquidità, si esporrebbe al rischio di contenziosi di massa – propiziati peraltro dall’azione di classe – con i viaggiatori loro malgrado assegnatari di voucher sostitutivi: i quali, lamentando a ragione l’illustrato contrasto tra norma emergenziale e direttiva europea, ben potrebbero sollecitare gli aditi giudici ordinari a sollevare la questione di rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Il recesso dai «contratti di soggiorno (art. 88, d.l. n. 9 del 2020).

Esente dalle censure sopra illustrate pare, invece, l’art. 88, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, che estende le disposizioni di cui all’art. 28, d.l. n. 9 del 2020, ai «contratti di soggiorno per i quali si sia verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito dei provvedimenti adottati» per fronteggiare l’emergenza sanitaria (cfr. art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6).

Relativamente alla fornitura di tali servizi turistici disaggregati, la facoltà concessa all’impresa turistica di emettere il voucher sostitutivo del rimborso dei pagamenti eseguiti dal cliente vale ad integrare una specifica deroga alla disciplina generale dell’impossibilità sopravvenuta totale della prestazione, contemplata dall’art. 1463 c.c.: ciò nel senso che siffatta disciplina speciale deve intendersi non già come aggiuntiva, bensì come integralmente sostitutiva della regola generale testé citata, con l’effetto che l’emissione del voucher rappresenta l’esclusiva tutela giuridica accessibile dal cliente (si pronuncia in questi termini anche F. GIGLIOTTI, Considerazioni in tema di impossibilità sopravvenuta per emergenza epidemiologica, di prestazioni dello spettacolo e assimilate, in Giustiziacivile.com, Speciale COVID19, n. 1, p. 249 ss., che pure auspica correzioni in sede di conversione nel segno di una maggiore tutela dell’utente che non abbia più la ragionevole possibilità di fruire della prestazione turistica dovuta dall’impresa). Peraltro, tale deroga, in assenza di una specifica disciplina europea a protezione del consumatore sul punto specifico, deve ritenersi pertanto legittima proprio in virtù della temporaneità della misura disposta nell’eccezionale situazione di emergenza sanitaria.

È però opportuna una puntualizzazione circa l’àmbito di applicazione della norma speciale.

Per un verso, il generico riferimento ai «contratti di soggiorno» consente di ricomprendere, nel perimetro di operatività della disposizione eccezionale, tutti i cc.dd. contratti di ospitalità (contratto di albergo, contratto di residence, contratto di campeggio), senza alcuna distinzione in relazione alla tipologia di struttura ricettiva (alberghiera, paraalberghiera, extralberghiera o all’aperto) ed alla modalità di prenotazione del soggiorno.

Per altro versante, lo stesso richiamo esclude dall’àmbito di applicazione della norma emergenziale altri contratti frequentemente stipulati dalle imprese turistiche, quali i contratti di ristorazione (individuale e collettiva), nonché, soprattutto, i contratti di banqueting per l’organizzazione di eventi, come matrimoni, convegni, fiere ecc. In questi casi, non operando la deroga, l’impresa turistica è dunque tenuta alla restituzione al cliente dei pagamenti già ricevuti secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito (art. 1463 c.c.) e l’emissione del voucher sostitutivo può essere non già portato di un’imposizione alla controparte, ma soltanto di un accordo raggiunto con quest’ultima.

Dal punto di vista temporale, occorre anche a questo riguardo precisare che la deroga vale in costanza di proroga, nei luoghi di partenza e di destinazione, delle misure di restrizione a tutela della salute pubblica.

A tal proposito, non è da escludere, infatti, che il cliente intenda oggi rinunciare, per sua scelta, a contratti di soggiorno per periodi di tempo che, alle notizie disponibili alla data della disdetta, non siano interessati dai provvedimenti restrittivi, e che tali accordi siano stati stipulati all’esito di una prenotazione garantita e confermata. In tali casi, il cliente perderà l’acconto versato al momento dell’accettazione della prenotazione (anche tramite carta di credito) sempreché risulti inequivoca, dallo scambio di comunicazioni intervenute tra le parti, la qualificazione dell’acconto stesso in termini di caparra. Ove così non fosse, la somma versata dal cliente costituirà invece un mero acconto versato sul prezzo finale, con la conseguenza che l’albergatore sarà tenuto a restituire al cliente disdettante l’importo versato in eccedenza al costo della camera per una notte (e v., anche per i riferimenti, R. SANTAGATA, Diritto del turismo4, cit., p. 174 s., testo e ntt. 35 e 36).

Sennonché, in queste ultime ipotesi, la sostituzione di tale diritto del cliente al rimborso dell’eccedenza con l’emissione del voucher non potrà essere imposta dall’albergatore, in quanto, nel periodo oggetto della prenotazione, non vi sarà – almeno alle notizie disponibili al momento della disdetta – l’impossibilità sopravvenuta di esecuzione della prestazione che giustifica l’operatività della disposizione eccezionale recata dall’art. 88, d.l. n. 18 del 2020, come pare emergere dal dettato del suo 4° comma («Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano fino alla data di efficacia delle misure previste con d.P.C.M. 8 marzo 2020 e da eventuali decreti attuativi emanati ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6» (sull’interpretazione di quest’ultima norma, cfr. anche, in generale, i rilievi di F. GIGLIOTTI, Considerazioni in tema di impossibilità sopravvenuta, cit., pp. 248 ss. e 241 s., nt. 16).

I voucher turistici: natura dei titoli e loro circolazione.

Pare infine opportuna qualche sintetica considerazione circa l’inquadramento giuridico dei cc.dd. voucher sostitutivi contemplati dall’art. 28, comma 5, d.l. n. 9 del 2020 (ed implicitamente richiamati dall’art. 88, d.l. n. 18 del 2020) ed il regime di loro circolazione.

Anzitutto, l’emissione del voucher comporta una novazione oggettiva ex lege dell’originario rapporto obbligatorio, mediante la quale si attua una “sostituzione” del rapporto obbligatorio preesistente (il pacchetto turistico o il contratto di soggiorno risoltisi per impossibilità sopravvenuta della prestazione) con un rapporto giuridico nuovo (il pacchetto turistico o il contratto di soggiorno che verrà stipulato entro l’anno di scadenza del titolo).

Dal punto di vista giuridico, il voucher costituisce un chiaro esempio di documento di legittimazione volto ad identificare l’avente diritto alla prestazione turistica ai sensi dell’art. 2002 c.c.

Il regime della sua eventuale circolazione ricalca, all’evidenza, le diverse regole di cessione del contratto di pacchetto turistico e del contratto di soggiorno.

Nel caso dei contratti di pacchetto turistico, deve ritenersi consentita la cessione a terzi dei voucher da parte del viaggiatore: il quale, ai sensi dell’art. 38 cod. turismo, ha – come è noto – l’inderogabile diritto – anch’esso ribadito dall’art. 9 della direttiva 2015/2302/UE – di sostituire a sé un terzo che soddisfi tutte le condizioni per la fruizione dei servizi turistici contemplati dal contratto. Resta fermo il rispetto delle condizioni per l’esercizio della facoltà di sostituzione, necessario per le esigenze organizzative del tour operator: a tal proposito, non potendo evidentemente trovare applicazione il termine previsto dall’art. 38 cod. turismo, sembra necessario che il tour operator espliciti chiaramente al viaggiatore le condizioni di cessione del voucher idonee a contemperare il diritto inderogabilmente riconosciuto a quest’ultimo dalla direttiva europea con le proprie esigenze organizzative.

Per la cessione del contratto di soggiorno vale invece il principio generale dettato dall’art. 1406 c.c., alla cui stregua occorre il consenso dell’albergatore (o del titolare di imprese assimilate) all’attribuzione a terzi dei diritti alla prestazione turistica riconosciuti dal voucher.

(Fonte: giustiziacivile.com)

Clicca qui per consultare la sezione dedicata al decreto Coronavirus