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Il Consiglio Nazionale Forense sul rapporto tra giudicato penale e sospensione del procedimento disciplinare

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Il Consiglio Nazionale Forense sul rapporto tra giudicato penale e sospensione del procedimento disciplinare

L’avvocato (attuale ricorrente) veniva coinvolto in un procedimento penale per tre capi di imputazione: formazione di un falso mandato in favore di altro avvocato (suo collaboratore) con firma falsificata, falsificazione della firma nell’atto di comparsa di risposta e falsificazione della delega a sostituto processuale in favore di altro collega per l’udienza di escussione dei testi.

Il tutto veniva commesso per poter gestire dal suo studio sia la propria posizione di attore, sia quella di convenuto, parti contrapposte dello stesso sinistro stradale nel quale il ricorrente era rimasto coinvolto e dal quale era stato risarcito solo parzialmente dalla compagnia assicuratrice. In tale circostanza, il conducente dell’altro veicolo coinvolto si era, infatti, assunto interamente la responsabilità dell’incidente, sottoscrivendo apposito modello di constatazione amichevole. Chiamato in causa anch’egli dallo stesso avvocato, risultava agli atti che veniva assistito dal sopra indicato collaboratore dell’avvocato, il quale riferiva di non sapere nulla del procedimento pendente.

Contestualmente, il COA di Venezia, venuto a conoscenza dei fatti, apriva un procedimento disciplinare nei suoi confronti, trasmettendo il fascicolo al CDD, il quale sosteneva l’esistenza di un conflitto di interessi apparente, in quanto l’avvocato aveva di fatto assunto la difesa di due soggetti portatori di interessi opposti. Una volta valutata la gravità dei fatti, il CDD sanzionava il professionista con la sospensione per un anno dall’esercizio della professione legale.

Contro tale decisione, l’avvocato propone ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.

Il CNF, con la sentenza n. 171 del 15 giugno 2019, enuncia una serie di principi alquanto importanti, tra cui si elencano quelli di maggiore interesse.

In primo luogo, il ricorrente eccepisce la prescrizione degli illeciti contestati, sostenendo che il dies a quo di decorrenza corrisponda alla data di deposito dell’atto di costituzione della controparte, essendosi egli completamente disinteressato del giudizio civile. In tal senso, il CNF rileva che «il dies a quo per la prescrizione dell’azione disciplinare va individuato nel momento della commissione del fatto solo se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo che si consuma o si esaurisce al momento stesso in cui viene realizzata; ove invece la violazione risulti integrata da una condotta protrattasi e mantenutanel tempo, la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta».

Quanto all’ulteriore eccezione formulata dal ricorrente circa la differenza tra i fatti oggetto del procedimento penale (conclusosi) e quelli contestati in via disciplinare, sicché il CDD avrebbe dovuto rispettare il giudicato penale di assoluzione piena, il Consiglio Nazionale Forense chiarisce che «con l’entrata in vigore della L. 247/2012 (art. 54), la c.d. pregiudizialità penale ha subìto una forte attenuazione, giacché ora il procedimento disciplinare “può” essere sospeso solo se ciò sia ritenuto “indispensabile”, poiché esso “si svolge ed è definito con procedura e valutazioni autonome rispetto al processo penale avente per oggetto i medesimi fatti”. Stante la regola dell’autonomia dei due processi (c.d. doppio binario), l’obbligo di motivazione deve considerarsi più cogente nel caso in cui il CDD ritenga in via di eccezione di esercitare discrezionalmente la facoltà di sospendere il procedimento disciplinare, e non nel caso contrario».

Infine, il CNF specifica che «le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato».

La vicenda si conclude con la riduzione della sanzione della sospensione dall’attività legale per un anno a quella della censura.