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Liceità degli oneri di fatturazione mensile imposti dall’AGCOM ai gestori di telefonia

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Liceità degli oneri di fatturazione mensile imposti dall’AGCOM ai gestori di telefonia

Il Consiglio s’interroga anche sull’onere di sollevare una pregiudiziale laddove il giudice interno non nutra dubbi sulla compatibilità tra l’ordinamento nazionale e quello comunitario e sull’onere della prova imposto dall’art. 267 TFUE sul fatto che «l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di giustizia ove investiti di identica questione». Si noti che la CGUE si è più volte pronunciata su casi analoghi riconoscendo la legittimazione delle ANR (sulla prassi conforme del Consiglio circa le sanzioni per le fatturazioni a 28 giorni e sull’indennizzo automatico degli utenti ex multis si veda Cons, St.879/20 nel quotidiano dell’11/2/20) e fornendo talvolta le linee guida al giudice interno chiamato a dirimere liti su queste tematiche (EU:C:2016:692 nella rassegna del 16/9/16). Il Consiglio di Stato era stato adito da vari noti gestori di telefonia per riformare le sentenze del TAR Lazio 3261 e 4988, 5001 e 5313/18 con le quali si confermava la liceità della delibera dell’AGCOM n.121/17 2017, di modifica della pregressa delibera n.252/16, recante «misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica»: in essa si stabiliva che i clienti dovevano avere accesso gratuito alle informazioni sul loro credito residuo e si auspicava maggiore trasparenza e comparabilità delle offerte di telefonia fissa e mobile, stigmatizzando la fatturazione a 28 giorni e l’incremento tariffario, anche molto elevato, conseguente all’adattamento agli oneri di fatturazione mensile imposto da varie sentenze. In breve, si contestava che l’abbonato che avesse voluto conoscere il proprio credito residuo poteva farlo solo tramite app od internet, anziché tramite sms e chiamate alla linea telefoniche di assistenza del cliente e perciò l’AGCOM aveva esercitato il suo potere di regolamentazione per imporre i contestati oneri ai gestori.

Liceità del potere di regolamentazione di un’ANR. Rinviando, per brevità narrativa, al testo per le argomentazioni sul dovere di sollevare o meno una pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, laddove la questione non sia del tutto identica a quella già decisa dalla CGUE ma solo analoga e sulle relative conseguenze per il mancato rinvio alla CGUE (EU:C:2016:603), ci si deve focalizzare sui limiti al potere di regolamentazione di un’ANR. A livello comunitario la materia è regolata dalle Direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE ed interno dal d.lgs. n. 259/03 e dalla l. n. 481/95. Con esse si prevede «l’istituzione di nuove figure soggettive pubbliche, chiamate ad operare in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione (per l’appunto denominate Autorità amministrative indipendenti), cui affidare, altresì, poteri di regolamentazione tipizzati in ragione – anziché del contenuto precettivo degli atti da emettere – degli obiettivi di tutela all’uopo da perseguire» (neretto, nda). Col potere regolamentare, volto ad uniformare le varie disposizioni normative ed a dare la massima tutela ai consumatori, obiettivo per altro promosso dal Legislatore dell’UE considerato un cardine del diritto comunitario stesso, l’ANR può imporre oneri ai gestori di telefonia, limitandone l’autonomia contrattuale (e questo è sempre stato uno dei punti più controversi delle varie questioni rimesse alla CGUE che per altro, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’ha sempre considerato lecito: EU:C:2015:610, 2009:749 e 2008:244). La prassi interna consolidata poi «ha riconosciuto in capo alle Autorità amministrative indipendenti il potere di adottare misure di regolamentazioni idonee a limitare l’autonomia negoziale degli operatori economici, anche attraverso un’eterointegrazione del contenuto dei contratti e pure nell’ambito di mercati liberalizzati» (Cons. St. 1368/20, 4493/19 e 6628/03; neretto, nda). La limitazione di questa libertà è controbilanciata dalle consultazione e partecipazione degli operatori di settore su cui graveranno, le quali sono garantite da «meccanismi di “notice and comment”, incentrati sull’avvio di una pubblica consultazione sulla base di apposito progetto di atto, nell’ambito della quale consentire ai soggetti interessati di presentare le proprie osservazioni, che l’Autorità procedente deve tenere in considerazione nella motivazione dell’atto regolatorio all’uopo da adottare». Da un’analisi della normativa dell’UE sopra richiamata e delle libertà di impresa e stabilimento non risulterebbero incompatibilità con la nostra normativa, in quanto le restrizioni sono limitate alle sole modalità di espressione del prezzo (imposizione di una fatturazione mensile anziché a 28 giorni) che viene liberamente determinato dal gestore di telefonia: con questo potere si tutelano gli interessi dei consumatori ad ottenere libero accesso ai servizi di comunicazione elettronica, ricevendo informazioni chiare e trasparenti sulle tariffe e sulle condizioni di uso degli stessi. Non sembrerebbe nemmeno incompatibile con la leale e libera concorrenza, anzi è uno strumento che la garantisce sì da evitare che i consumatori ricevano informazioni fuorvianti od incomplete tali da influenzarne le libere scelte commerciali.

Rispetto del principio di proporzionalità. Sia per la nostra prassi che per quella della CGUE il principio di proporzionalità è rispettato quando le norme stabilite dagli Stati membri o dalle pubbliche amministrazioni, in applicazione delle direttive europee, sono idonee a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vanno oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da tali direttive (Cons. St. 4403/19 e EU:C:2020:373). Si deve tener conto, come è emerso dall’indagine preventiva fatta dall’AGCOM, della pluralità di operatori del settore che talvolta sono presenti anche solo su base comunale o provinciale, delle diverse modalità di addebito dei costi per la telefonia mobile (prepagata con possibilità, quindi, d’interrompere il servizio non versando il corrispettivo dell’offerta) e fissa o mista (Fisso+mobile) che è post-pagata con addebito sul conto corrente, sì che il soggetto, in caso d’insolvenza, si troverebbe privo del servizio senza preavviso. Un altro punto contestato è infatti l’impossibilità per i clienti della telefonia fissa di avere sotto controllo i costi del servizio e dei consumi, possibile invece per l’altra tipologia. Sarebbe anche auspicabile che gli utenti ricevessero un preavviso della scadenza e del rinnovo dell’offerta. Le misure controverse consentirebbero al consumatore «di comparare le differenti offerte commerciali e consentire la piena consapevolezza degli oneri economici derivante dalla contrattazione, attraverso la previsione di una cadenza unitaria di rinnovo contrattuale, corrispondente allo standard di mercato rilevato dall’Autorità, evitando in tale modo di creare l’apparenza di prezzi convenienti soltanto perché quantificati sulla base di un dato temporale inferiore a quello consolidato nella prassi degli scambi» ed anche di controllare la spesa generata dal servizio ricevuto, sapendo che l’offerta verrà rinnovata sempre lo stesso giorno del mese, mentre con la fatturazione a 28 giorni è a data variabile. Il Consiglio di Sato nota l’inefficacia della previsione di motori di ricerca e di comparazione delle varie offerte di telefonia perché consultabili solo online o da chi ha uno smartphone, quindi inaccessibili a circa il 47% degli utenti (anziani, disabili etc.), che sarebbero così discriminati rispetto agli altri consumatori. Non sono efficaci neanche le proiezioni dei prezzi sia su base a 28 giorni che mensile. È palese per il giudice di rinvio che gli oneri imposti dall’AGCOM ai gestori di telefonia rispettino questo principio di proporzionalità.

Discriminazione dei clienti. Queste «differenze intercorrenti fra i due mercati di telefonia, mobile e fissa, sembrano, dunque, impedire una comparabilità tra le due fattispecie, ostando alla violazione dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento».