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Pena dimezzata per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza decisa con rito abbreviato

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Pena dimezzata per la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza decisa con rito abbreviato

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12881/19, depositata il 25 marzo.

Il caso. La Corte d’Appello di Trieste confermava la condanna di prime cure di un imputato per guida in stato di ebbrezza con l’aggravante di aver provocato un incidente stradale. La pena, disposta ad esito di giudizio abbreviato e previa concessione delle attenuanti generiche giudicate equivalenti all’aggravante, con la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., era stata fissata in 4 mesi d’arresti e 3mila euro di ammenda.

La sentenza veniva impugnata con ricorso in Cassazione dalla difesa che deduceva violazione di legge in relazione all’irretroattività dell’art. 442 c.p.p. nella nuova formulazione ex l. n. 103/2017.

Quantificazione della pena. In tema di giudizio abbreviato, l’art. 442, comma 2, c.p.p. come novellato dalla l. n. 103/2017, prevede che in caso di condanna per contravvenzione la pena che il giudice determina tenendo contro di tutte le circostanze è diminuita della metà (invece che di un terzo come precedentemente previsto). La norma si applica anche alle fattispecie anteriori salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Le Sezioni Unite (n. 18821/13) hanno infatti precisato che, pur trattandosi di una norma processuale, i suoi effetti si producono sul piano sostanziale per cui deve essere rispettato il principio di legalità convenzionale e l’art. 25, comma 2, Cost.. In sintesi, per riprendere le parole della Suprema Corte, «il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziale ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui alla’rt. 2 c.p., pur restando tuttora confermato che la riduzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2, c.p.p., essendo finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in funzione di una specifica scelta processuale operata dall’imputato, va applicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva anche dell’eventuale aumento per la ritenuta continuazione e che, comunque, la necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermata dalla sentenza CEDU del 17 settembre 2009 nel caso Scoppola contro Italia, non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processuali».

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e procede alla rideterminazione della pena in mesi 2 di arresto e euro 2250 di ammenda.