La prostituzione non è mai una scelta ‘totalmente libera e volontaria’
Così la Corte Costituzionale con sentenza n. 141/19, depositata il 7 giugno.
La tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili. Anche quando la scelta di prostituirsi appare, almeno inizialmente, una scelta libera, ad essere tutelati sono i soggetti vulnerabili e la dignità umana, visti i numerosi pericoli insiti nella prostituzione stessa, pericoli collegati all’ingresso in un circolo dal quale sarà difficile uscirne volontariamente, subendo così rischi per l’integrità fisica e la salute cui ci si espone durante l’attività di meretricio.
Prostituirsi non è mai una scelta «totalmente libera e volontaria».
Prosegue la Consulta sottolineando che, in realtà, è il legislatore «quale interprete del comune sentire in un determinato momento storico, che ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, un’attività che degrada e svilisce la persona». Questo perché la prostituzione non rappresenta uno strumento di tutela e sviluppo della persona, ma una mera e particolare attività economica, dove la sessualità è solo una sorta di “prestazione di servizio” volta ad ottenere un profitto. Rimane dunque e comunque un diritto fondamentale, la libertà sessuale, da tutelare anche se esercitato dietro corrispettivo.
E le disposizioni incriminatrici della legge Merlin si connettono ai suddetti valori.
Non è un caso, infatti, che il legislatore individui nella persona che si prostituisce il soggetto debole da tutelare e da non punire, a differenza di quanto avviene per i terzi che si intromettono in tale attività.
Infine, la Corte Costituzionale esclude che la norma incriminatrice del favoreggiamento della prostituzione sia in contrasto con i principi di offensività, determinatezza e tassatività «perché l’eventuale esistenza di contrasti sulla rilevanza penale di determinate marginali ipotesi di favoreggiamento rientra nella fisiologia dell’interpretazione giurisprudenziale».