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Ex facto oritur ius. A proposito delle nuove disposizioni in tema di svolgimento delle assemblee di società

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Ex facto oritur ius. A proposito delle nuove disposizioni in tema di svolgimento delle assemblee di società

Come ha ricordato Fabrizio di Marzio, in un meditato editoriale pubblicato in questa rivista il 4 agosto 2017, il diritto nasce dai fatti; dalle esigenze della vita si origina la necessità di una disciplina che sia capace di ordinare i fatti, senza soffocarli. La tensione che può innescarsi tra l’interpetazione ricevuta di una regola e la singolarità di un fatto o un complesso di fatti, può determinare nuovi percorsi interpretativi. E’ questo, a me pare, in un sistema a base legislativa, il senso fondamentale dello scaturire il diritto dai fatti.

Possiamo trovare una conferma di questa idea in due regole di nuovo conio, emerse in conseguenza della necessità di distanziamento sociale, imposta dalla pandemia globale in corso. La prima, è il frutto di una interpretazione elaborata della Commissione Società del Consiglio notarile di Milano, pubblicata l’11 marzo scorso, secondo la quale :

«L’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione – ove consentito dallo statuto ai sensi dell’art. 2370, comma 4, c.c., o comunque ammesso dalla vigente disciplina – può riguardare la totalità dei partecipanti alla riunione, ivi compreso il presidente, fermo restando che nel luogo indicato nell’avviso di convocazione deve trovarsi il segretario verbalizzante o il notaio, unitamente alla o alle persone incaricate dal presidente per l’accertamento di coloro che intervengono di persona (sempre che tale incarico non venga affidato al segretario verbalizzante o al notaio).

Le clausole statutarie che prevedono la presenza del presidente e del segretario nel luogo di convocazione (o comunque nel medesimo luogo) devono intendersi di regola funzionali alla formazione contestuale del verbale dell’assemblea, sottoscritto sia dal presidente sia dal segretario. Esse pertanto non impediscono lo svolgimento della riunione assembleare con l’intervento di tutti i partecipanti mediante mezzi di telecomunicazione, potendosi in tal caso redigere successivamente il verbale assembleare, con la sottoscrizione del presidente e del segretario, oppure con la sottoscrizione del solo notaio in caso di verbale in forma pubblica».

La seconda regola è frutto di un intervento legislativo, realizzato con la decretazione d’urgenza dall’art.106 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, rubricato “Norme in materia di svolgimento delle assemblee di società”, che introduce importanti deroghe alla disciplina delle società di capitali, anche quotate.

Si tratta di previsioni legislative fondate sull’attuale contesto emergenziale e aventi carattere essenzialmente provvisorio, come emerge dallo stesso comma 7 della disposizione, secondo cui esse trovano applicazione “alle assemblee convocate entro il 31 luglio 2020 ovvero entro la data, se successiva, fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale”.

Anzitutto, è prorogato di diritto da 120 a 180 giorni il termine, previsto dagli artt. 2364, comma 2, e 2478-bis, comma 1, c.c. per la convocazione dell’assemblea annuale per l’approvazione del bilancio.

Sono inoltre introdotte diverse novità riguardanti lo svolgimento dell’assemblea e, conseguentemente, la verbalizzazione della stessa da parte del notaio.

L’avviso di convocazione può prevedere, «anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie»:

– il voto «in via elettronica» (a mezzo e-mail, messaggio SMS o di altro tipo) o “per corrispondenza”, nonché «l’intervento … mediante mezzi di telecomunicazione»”;

– modalità già prima d’ora praticabili, ma solo in caso di conforme previsione statutaria, dall’art. 2370, comma 4, c.c.

La previsione non è di poco momento, in quanto rappresenta una deroga al metodo assembleare cui è informata la disciplina della s.p.a. e cui devono attenersi anche le s.r.l. quantomeno per talune delibere di particolare importanza o quando ne sia fatta richiesta dai soggetti legittimati (cfr. art. 2479, comma 4, c.c.).

Proprio con riferimento alle s.r.l., il d.l. n. 18 del 2020 interviene sulla procedura di formazione della volontà consentendo, pur con qualche dubbio sulla tecnica legislativa e sulla chiarezza dei richiami, di ricorrere in ogni caso alle modalità della consultazione scritta e del consenso espresso per iscritto. Deve quindi ritenersi che, ove venga sollecitata una decisione dei soci da adottarsi con tali modalità, pur in mancanza di un’espressa previsione statutaria,né gli amministratori né i soci che rappresentino 1/3 del capitale possano opporsi richiedendo la deliberazione assembleare, come pure prevede in via generale l’art. 2479, comma 4, c.c.

Superfluo sottolineare che, nel caso in cui le decisioni dei soci dovessero riguardare una modifica statutaria, permane il limite di sistema che richiede il controllo e l’intervento notarile. A tal fine, l’art. 106 d.l. n. 18 del 2020 aggiunge infatti che «le predette società [i.e.: le società di capitali] possono altresì prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, … senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo … il presidente, il segretario o il notaio». Questa previsione consente – non è chiaro se per mezzo del solo avviso di convocazione, oppure con apposita modifica statutaria, ma sembra doversi propendere per la prima soluzione – che tutti i partecipanti all’assemblea, ivi compresi il presidente e il segretario o il notaio, vi prendano parte a distanza. Si deroga così alla regola della compresenza fisica (almeno) del presidente e del segretario o del notaio, ricavabile dal disposto dell’art. 2375, comma 1, c.c. (secondo cui il verbale assembleare è “sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio”).

È stata dunque recepita a livello legislativo la soluzione già fatta propria dalla recente massima n. 187 della Commissione Società del Consiglio notarile di Milano, pubblicata l’11 marzo scorso, sopra richiamata.

In sostanza, l’art. 106 d.l. n. 18 del 2020, non solo fa propria la soluzione interpretativa volta a riconoscere la conformità ai canononi legislativi delle assemblee in video conferenza con la verbalizzazione notarile in forma pubblica ed il verbale sottoscritto dal solo notaio, ma estende tale possibilità anche al caso in cui lo statuto della società nulla preveda al riguardo.

Non sono introdotte deroghe, invece, alle modalità statutariamente previste per l’invio dell’avviso di convocazione. Questo, pertanto, dovrà essere fatto nei modi e nei termini previsti dalla legge e/o dallo statuto (cfr. artt. 2366, commi 2 e 3, e 2479-bis, comma 1, c.c.), salva naturalmente la possibilità che l’assemblea si costituisca in forma totalitaria ai sensi degli artt. 2366, comma 4, e 2479-bis, comma 5, c.c.).

Deve inoltre segnalarsi che, benché le citate previsioni riguardino soltanto le decisioni dei soci di società di capitali, esse possano trovare applicazione analogica – dato il ricorrere della medesima ratio – anche alle riunioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, ove nominati.

Quali riflessioni possiamo trarre da queste due novità normative (soft law, la massima ; hard law, il decreto legge).

Nella visione del positivismo giurdicoi due territori del diritto e dei fatti appaiono separati da una sorta di impenetrabile muraglia, a cavalcioni della quale è da collocare idealmente il legislatore, il solo chiamato ad attingere alla fattualità e a trasformarla quando voglia in una dimensione anche giuridica. E i fatti — naturali, sociali, economici — nei quali è immersa l’esistenza quotidiana degli uomini e con i quali essi sono chiamati a fare i conti? La risposta è pronta: ai fatti deve pensare soltanto il legislatore. Questo appare oggi l’ideale d’un positivismo giuridico primitivo che è largamente superato nella coscienza di chi opera secondo il diritto. Esso è stato soppiantato dal cosiddetto positivismo critico che considera il diritto non come insieme di atti di volontà del legislatore, ma come ambito di normatività oggettiva e autosufficiente che vive nella sfera ideale dell’ordinamento giuridico, inteso come edificio di leggi coerenti, ordinate, complete che, se non esce già di per sé con queste caratteristiche dalla testa e dalla volontà del legislatore, è rimesso come compito ricostruttivo ai giuristi, agli interpreti. Anche con questo spostamento, dalla volontà del legislatore alla razionalità dell’ordinamento legislativo, resta ferma, anzi si conferma l’idea che il giurista abbia da tenere lo sguardo puntato soltanto in alto, sulle alture del tessuto delle norme poste e sovrapposte. Il disegno che spetta ai giuristi di tracciare deve emergere senza interferenze da parte di altre dimensioni normative extra-legislative, in particolare senza che le bassure che salgono su dalle strutture materiali della vita sociale contaminino la loro astratta scienza delle norme.

Credo che, a questo punto, il nostro discorso possa un poco dilatarsi.

È chiaro che — contrariamente a quanto si affermava dal legalismo monista della modernità — il diritto non è creatura della volontà del legislatore, né si identifica in un complesso di leggi. Il diritto è, piuttosto, realtà che si colloca nelle radicazioni profonde e profondamente identitarie di una comunità storica, è realtà da ricercare, reperire.

Ed è chiaro che Stato e leggi non esauriscono la giuridicità della Repubblica.

La Costituzione, con il suo proporci un pluralismo sociale e un corrispondente pluralismo giuridico, con il suo proporsi essa stessa quale interpretazione/invenzione, esige una visione pluralistica delle cosiddette fonti, con la precisazione necessaria che queste sono tutte accomunate da un riscoperto carattere inventivo. Legislatore, giurisprudenza, scienza, prassi notarile sono tutti coinvolti in un’opera di costruzione, una costruzione che non dovrebbe mai smentire quel carattere.

Nel tempo della modernità che è quello della sovranità della legge generale e astratta e, potremmo dire, dello schiacciamento della realtà sociale sotto il peso dei precetti legislativi, il giurista doveva adattare il fatto alla legge, una legge pensata come premessa maggiore di un procedimento sillogistico, un procedimento squisitamente logico-deduttivo. Oggi, in questo nostro tempo giuridico posmoderno, il giurista, attraverso operazioni squisitamente valutative, deve comprendere il caso da risolvere e adattare la norma al fatto della vita, individuandone la più adeguata disciplina. Questa è l’interpretazione, che si traduce nella invenzione del diritto, che è un procedimento contrario a quello sillogistico perché in essa non è coinvolta solo la razionalità del giurista con le sue capacità di logico, ma soprattutto qualità di intuizione-percezione-comprensione, tutte segnate sul piano assiologico.

Quando il giudice siede in giudizio, quando il notaio deve stendere un contratto, quando l’avvocato prepara una memoria, non hanno di fronte a loro, primariamente, la rete delle norme giuridiche, indossando le quali, come un paio d’occhiali, guardare il mondo che scorre sotto di sé. Al contrario, hanno di fronte a loro, primariamente, casi della vita. Solo dopo che li hanno valutati nel loro — possiamo dire — bisogno di diritto, essi si rivolgeranno alle norme positive per cercarvi adeguate soluzioni: adeguate tanto al caso quanto al diritto, diceva Luigi Mengoni. Nella « invenzione » delle soluzioni adeguate rispetto ai due lati dell’interpretazione, formale e materiale, sta il successo dell’interprete; nell’impossibilità o nell’incapacità di invenirle, sta il suo fallimento.

Queste modeste riflessioni aspirano semplicente a costituire un tentativo di comprensione ordinata dei dati di realtà, in quanto rappresentano e spiegano ciò che effettivamente accade nel mondo del diritto del nostro tempo. Questo non vuol dire, naturalmente, che quella rappresentazione e quella spiegazione siano presentati anche come modelli da accettare non solo per la forza della realtà storica, ma anche per la loro desiderabilità.

Tuttavia, la circostanza che a distanza di pochi giorni dalla pubblicazione dell’orientamento interpretativo dei notai, il Governo abbia seguito la soluzione ermeneutica offerta dalla massima milanese, adeguata tanto al fatto, quanto al diritto, fa ben sperare, segnalando che gli antichi cippi confinari tra jus e facta sono oramai consunti e sradicati e che gli « orientamenti notarili » costiuiscono oggi un notevole esempio di diritto extralegale, un canale privato di produzione del diritto che si affianca a quelli ufficiali. Un diritto che nasce in basso e dal basso e che dopo una dialettica interna alla categoria, viene offerto al pubblico dibattito della comunità scientifica.

(Fonte: giustiziacivile.com)

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