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Il legittimo affidamento del contribuente virtuoso limita il Fisco

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Il legittimo affidamento del contribuente virtuoso limita il Fisco

Se il Fisco disattende il legittimo affidamento, ne va della sua stessa credibilità

L’accertamento con adesione non ha natura negoziale, stante l’indisponibilità della pretesa tributaria: non per questo, tuttavia, il Fisco è libero di violare la buona fede del contribuente che, dopo avere onorato il proprio debito per le prime annualità oggetto di accordo, si aspetti altrettanto anche per quelle successive.

Per questa ragione, sono nulle le pretese impositive che eccedano quanto già concordato, risultando prioritario il rispetto del legittimo affidamento, così come del principio di collaborazione, a tutela della stessa credibilità e affidabilità dell’amministrazione finanziaria, sotto un profilo etico prima ancora che del doveroso rispetto degli impegni sottoscritti con il contribuente.

È questo, in estrema sintesi, il condivisibile principio stabilito nella recente sentenza Cass. 11 maggio 2021 n. 12372, la quale, pur avendo riformato parzialmente la sentenza di appello che aveva annullato integralmente gli accertamenti dimentichi dell’accordo sottoscritto con il contribuente, ha sancito la nullità della pretesa eccedente quello stesso accordo.

La vicenda processuale

Dopo la consegna del p.v.c. per cinque annualità, una società presentava istanza di accertamento con adesione, che si concludeva con la redazione di un processo verbale di contraddittorio con il quale erano determinati, per le singole annualità, gli importi riconosciuti.

In attuazione dell’accordo venivano adottati – e sottoscritti dalla società contribuente – gli atti di accertamento con adesione per le prime due annualità, i cui importi venivano corrisposti tempestivamente.

Ciò nonostante, per la successiva annualità l’AE notificava l’avviso di accertamento contenente la pretesa originaria, senza tener conto, dunque, dell’accordo già firmato e onorato.

Di qui l’impugnazione della società (e dei soci per gli accertamenti personali da “ristretta base”), che venivano accolti in primo grado limitatamente all’eccedenza rispetto al quantum oggetto di adesione e, in secondo grado, per l’intero importo accertato, avendo ritenuto la CTR prioritaria la violazione del legittimo affidamento e buona fede dei contribuenti.

Seguiva il ricorso dell’AE, che rilevava, tra l’altro, che il verbale di contraddittorio contenente l’accordo non integrava un accertamento con adesione e, anzi, necessitava, a tal fine, la successiva adozione degli atti in questione per le singole annualità d’imposta. Il motivo si fondava sul contrasto con il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria – principio di ordine pubblico – per cui era giustificata la possibilità, per l’ufficio, di disattenderlo liberamente, senza alcuna motivazione e senza che ciò comportasse la violazione del principio del legittimo affidamento.

La società e i suoi soci, dal canto loro, rivendicavano il fatto che quell’accordo rientrasse, a pieno titolo, nel procedimento di adesione disciplinato dal D.Lgs. 218/97 e, per questo, respingevano la tesi che voleva ricondurlo al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, sostenendone la natura negoziale e vincolante per la stessa amministrazione. Ne derivava, pertanto, che la violazione di detto accordo – in assenza di ogni giustificazione, motivazione e senza alcun preavviso – era lesiva del principio di tutela dell’affidamento del contribuente.

Il carattere autoritativo dell’attività dell’AF deve contemperarsi con il legittimo affidamento del contribuente virtuoso

Dopo una lunga e articolata disamina della natura e della ratio dell’accertamento con adesione e, più in generale, dell’attività tipica dell’amministrazione finanziaria, messe a confronto con i principi della L. 241/90, la Cassazione ha posto l’accento sulle estrinsecazioni pratiche dei principi del legittimo affidamento e della collaborazione contenuti nello Statuto del contribuente, ripercorrendo, peraltro, i precedenti che hanno segnato il dibattito in materia (prima fra tutte, la celebre Cass. 10 dicembre 2002 n. 17576 sulla buona fede).

L’attenzione dei giudici si è concentrata sulla condotta della società contribuente, la quale, all’indomani della sottoscrizione dell’accordo, vi aveva diligentemente ottemperato provvedendo al pagamento delle somme relative ai primi due anni, oggetto di accordo.

È stato questo, dunque, a rappresentare il discrimine rispetto alle situazioni in cui il contribuente, nonostante la sottoscrizione dell’atto, non abbia provveduto al relativo pagamento, il che, oltre a non rendere l’accordo perfetto in base alla stessa normativa sull’adesione – e, pertanto, inefficace -, rende la posizione di quel contribuente non meritevole di tutela.

Per questo, quella società andava tutelata e l’ammontare della pretesa è stato riportato allo status quo ante, ossia all’importo concordato in sede di adesione, risultando illegittima l’eccedenza.

(Fonte: mementopiu.it)