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La legittimazione processuale dell’assicuratore nell’ATP ex art. 8 Legge Gelli

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La legittimazione processuale dell’assicuratore nell’ATP ex art. 8 Legge Gelli

La soluzione del Tribunale, con l’ordinanza del 10 maggio 2018, è nel senso di privilegiare la funzione conciliativa e di celerità del rito che ispira l’intero impianto legislativo e quindi di ritenere ammissibile la vocatio dell’assicuratore nel procedimento, condizione di agire in sede giudiziale.

Il caso. Il Tribunale di Verona prende una chiara posizione in ordine ad uno dei profili processuali più controversi e complessi, frutto di un incrocio normativo che si realizza oggi nella fase di applicazione parziale degli effetti della l. n. 24/2017.

La questione attiene, in sintesi, all’efficacia dispositiva di due articoli, l’art. 8 e l’art. 12 l. Gelli; il primo già cogente quanto ai suoi effetti processuali, l’altro invece lontano dall’essere fonte di regolazione processuale nel nostro sistema, in quanto legato alla preventiva approvazione dei decreti attuativi previsti in regolazione dell’obbligo assicurativo (art. 10 l. n. 24/2017).

In una sintesi terminologica, l’intoppo interpretativo può essere evidenziato nell’incrocio tra l’obbligo (quale condizione di procedibilità) di avviare uno strumento alternativo alla lite preventivamente al giudizio di merito (art. 696-bis c.p.c.) «obbligatorio per tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione di cui all’art. 10» e la facoltà per la vittima di promuovere una “azione diretta” contro l’impresa di assicurazione dell’azienda sanitaria e contro il medico libero professionista (art. 12).

Dal momento che solo la prima delle due disposizioni è però, come detto, già operativa nel nostro ordinamento processuale, ci si chiede dunque se il danneggiato possa o meno avviare lo strumento obbligatorio (ed alternativo alla mediazione) dell’ATP finalizzato alla conciliazione, convenendo anche nel medesimo rito l’assicuratore del soggetto ritenuto responsabile, ovvero se questa strada gli sia preclusa dalla attuale non cogenza dell’art. 12 della legge.

È questo un profilo dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza oggi, perché attiene ad un elemento essenziale della lite in ipotesi di “med mal” riferendosi alla legittimazione processuale dei soggetti coinvolti e, in ultima analisi, alla opponibilità delle risultanze accertate in sede di ATP ai soggetti obbligati in futuro al risarcimento (per un maggior approfondimento, si veda anche: M. VACCARI, Primi contrasti giurisprudenziali in merito all’ATP introdotto dalla legge Gelli-Bianco in Ridare.it).

La questione controversa. La soluzione, nell’assenza di un raccordo normativo, non potrà che essere demandata alla interpretazione, estensiva e conservativa, delle norme oggi operative ed all’applicazione dogmatica per certi casi, del principio di celerità e conservazione della lite che certamente costituisce un importante profilo di lettura della legge Gelli-Bianco.

Alla convocazione dell’assicuratore nel procedimento per ATP spesso si contrappone nei fatti una eccezione di carenza di legittimazione all’azione contro l’impresa garante e da parte di quest’ultima che diviene per il giudice presupposto da risolvere fin dalla fase iniziale del procedimento.

Tale eccezione (che viene in questo caso da Tribunale di Verona risolta in senso ammissivo della vocatio dell’impresa garante della azienda sanitaria) si fonda dunque sull’assenza, nell’attuale assetto normativo, di una disciplina che consenta l’azione diretta del danneggiato nei confronti della assicurazione della struttura sanitaria o del sanitario.

Per venire alla decisione in esame, il Tribunale rileva che il dedotto profilo legato alla non operatività dell’art. 12 della legge non rilevi ai fini del coinvolgimento dei predetti soggetti nel procedimento di ATP.

I due orientamenti. Il Tribunale evidenzia come la questione sia, invero, assai controversa:

– secondo un primo orientamento, prevalente in dottrina, l’individuazione delle parti chiamate a partecipare al procedimento di ATP dipende dal tipo di azione di merito che il danneggiato intende esperire. Pertanto se essa si dovesse fondare sull’art. 7 l. n. 24/2017 il giudizio dovrebbe essere promosso nei confronti della struttura sanitaria o dell’esercente la professione sanitaria o di entrambi. Se l’azione risarcitoria avesse carattere diretto, come consente il nuovo art. 12 l. n. 24/2017, legittimata passiva sarebbe anche la compagnia assicuratrice dell’una o dell’altro. Tale premessa comporta che, poiché le disposizioni di cui all’azione diretta nei confronti dell’assicurazione si applicano, ai sensi del comma 6 dell’art. 12, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto ministeriale che dovrà essere emanato (entro 120 giorni) a norma dell’art. 10, comma 6 (ove devono essere dettati i requisiti minimi sulle polizze assicurative), fino a quando non verrà approvato tale decreto il danneggiato potrà convenire nell’ATP solo la struttura sanitaria o il professionista sanitario (in giurisprudenza per tale soluzione si vedano: Trib. Venezia, sez. II civile, 11 settembre 2017; Trib. Padova, sez. ricorsi, 27 novembre 2017);

– secondo altro orientamento (Trib. Venezia, sez. II, 18 gennaio 2018; Trib. Verona, sez. III civ., 31 gennaio 2018 e, infine, Trib. Venezia, sez. II civ., ord. 25 febbraio 2018), la necessità della partecipazione delle compagnie assicuratrici dell’ente ospedaliero o del professionista «discende sia dalla funzione conciliativa dell’istituto che dal dato normativo, che precisa come tali soggetti sono parti del procedimento e, per di più, quelle principalmente onerate della proposta conciliativa».

La contrapposizione si incentra soprattutto sulla struttura funzionale dello strumento previsto dall’art. 696-bis c.p.c.:

– ove lo si legga come propedeutico all’azione ordinaria ex art. 7 della l. 24/2017, lo stesso non può che essere promosso solo contro i soggetti per i quali oggi sia consentita azione diretta;

– ove, di contro, si intenda privilegiare (come leggiamo nell’ordinanza in commento) il profilo della ratio dell’art. 8 della legge, vale a dire l’elemento deflattivo del contenzioso, lo stesso deve costituire elemento di valutazione primaria tale da assorbire ogni possibile (e succedanea) valorizzazione dei soggetti legittimati passivi, divenendo quindi preminente l’interesse sociale ed individuale della vittima di vedere composta la lite senza ricorrere alla giurisdizione ordinaria.

La decisione del tribunale. In quest’ultimo senso, dunque, si indirizza la decisone del Tribunale di Verona, sul rilievo ulteriore inoltre che tale opzione si leghi alla clausola di salvezza che si rinviene nell’art. 12 ove si fanno espressamente «salve le disposizioni dell’art. 8».

Oltre alle ragioni tradizionali di adesione, dunque al secondo orientamento (ammissivo), il Tribunale ritiene che a conforto di tale tesi militino ulteriori considerazioni.

«Innanzitutto la possibilità di coinvolgere già nell’ATP le compagnie di assicurazione consente, anche sotto il profilo funzionale, di meglio perseguire la finalità conciliativa che caratterizza l’istituto e che vale a contraddistinguerlo, sotto tale profilo, dalla mediazione, che pure può essere esperita in alternativa all’ATP, ai sensi del comma 2 dell’art. 8, ma nella quale le compagnie di assicurazione raramente vengono coinvolte (si tratta per lo più delle ipotesi in cui vi sia controversia sul rapporto assicurativo o in cui il giudice demandi la mediazione anche su di esso)».

«Ancora, non va trascurato che il danneggiato sarà indotto a convenire nella procedura stragiudiziale tutti i potenziali soggetti passivi della azione risarcitoria dalla peculiare disciplina in tema di spese che è contenuta nel comma 4 dell’art. 8. Tale norma prevede infatti, come conseguenza della mancata partecipazione all’ATP, la condanna, con il provvedimento che definisce il successivo giudizio (l’uso del tempo indicativo presente induce ad escludere qualsiasi discrezionalità del giudice al riguardo), della parte, pur vittoriosa, che abbia disatteso la prescrizione normativa al pagamento delle spese di consulenza e di assistenza legale, relative sia al procedimento di ATP che a quello di merito (non anche però le spese dei successivi gradi di giudizio), oltre che di una pena pecuniaria, che, si noti non è quantificata né nel minimo né nel massimo, a vantaggio di tutte le altre parti cha abbiano invece partecipato al procedimento».

Il profilo dell’attualità del collegamento sanzionatorio, previsto dall’art. 8, a carico dei soggetti che si siano sottratti allo strumento, è tanto delicato, quanto critico.

Osservazioni. Ad avviso di chi scrive la partecipazione è obbligatoria oggi solo per i soggetti previsti dall’art. 8 comma 4 della legge, ad eccezione delle imprese di assicurazione coinvolte per le quali si rende necessaria la loro regolamentazione disciplinare (sotto l’aspetto dell’obbligo assicurativo, ma anche del connesso aspetto della opponibilità delle eccezioni al terzo danneggiato ex art. 12 comma 2), non potendosi interpretare diversamente la lettera dello stesso comma 4 dell’art. 8 in parola (per un maggior approfondimento, vedi anche F.MARTINI, L’azione diretta del paziente contro l’assicuratore della struttura e del sanitario. Condizioni e criticità, in Ridare.it).

Consegue che il regime sanzionatorio previsto dallo stesso testo debba essere oggi applicabile alle sole parti verso le quali sia instaurabile il giudizio in via ordinaria, divenendo la chiamata in giudizio dell’assicuratore del responsabile una mera opzione rimessa alla volontà processuale dell’assicurato stesso.

Quanto poi alla legittimazione processuale alla chiamata in giudizio dell’assicuratore in assenza di una disposizione che ne consenta la chiamata diretta da parte del danneggiato, la giurisprudenza della Suprema Corte non ha mai avuto dubbi in proposito: «Nell’assicurazione della responsabilità civile, l’obbligazione dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo all’assicurato è autonoma e distinta dall’obbligazione risarcitoria dell’assicurato verso il danneggiato, e ciò anche nell’eventualità in cui l’indennità venga pagata direttamente al terzo ai sensi dell’art. 1917, comma 2, c.c. Da ciò consegue che, non sussistendo un rapporto immediato e diretto tra l’assicuratore e il terzo, quest’ultimo, in mancanza di una normativa specifica come quella della responsabilità civile derivante dalla circolazione stradale, non ha azione diretta nei confronti dell’assicuratore» (Cass. civ., Sez. Lav., 14 aprile 2010, n. 8885; in senso conforme Cass. civ., 3 ottobre 1996, n. 8650; Cass. civ., 27 novembre 2001 n. 15030 e Cass. civ., Sez. Lav., 13 maggio 2008, n. 11921).

Il difetto di legitimatio ad causam, tra l’altro, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2010, n. 11284; Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2008, n. 14468; Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2006, n. 20819; Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2005, n. 13403 e, da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio 2016 n. 2951).

Osserva infine il Tribunale di Verona come giovi evidenziare «che, per molti anni a venire, gli ATP riguarderanno ipotesi di responsabilità da valutarsi sulla scorta delle discipline di diritto sostanziale anteriori alla legge Gelli (si tratta delle norme del codice civile e della l. 8 novembre 2012 n. 189, c.d. legge Balduzzi, per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della stessa), cosicché la definizione dell’ambito soggettivo dell’istituto non può dipendere dalla piena entrata in vigore delle nuove norme».

(Fonte: ridare.it)