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L’avvocato mono committente

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L’avvocato mono committente

Gli avvocati che svolgono le proprie prestazioni nei riguardi di un unico committente sono definiti mono committenti. Questa circostanza può essere sintomatica dell’esistenza di un rapporto di collaborazione o di lavoro subordinato mascherato. Se ne parlerà nel prossimo Congresso Nazionale Giuridico Forense che si terrà a Catania il 4-5-6 ottobre p.v..

Incompatibilità con l’esercizio della professione? Si arriva con la proposta della Consulta delle Professioni della CGIL, che ha recepito la proposta di MGA, che propone un intervento legislativo modificando l’art. 19 legge n. 247/2012 aggiungendo un apposito comma che recita così: «L’incompatibilità non si verifica per gli avvocati che svolgono attività di lavoro dipendente o parasubordinato in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato o associazione professionale o società tra avvocati multidisciplinare, purché la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile ad attività propria della professione forense».

Io credo che, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto, si possa evitare di cimentarsi nella vexata quaestio tra lavoro subordinato e lavoro autonomo per risolvere il problema operando esclusivamente sul vigente codice deontologico come vi verrò a esporre.

Lo stato della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione è il seguente: la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civile, SSUU, n. 5035/2004) si è pronunciata sulla validità dell’atto posto in essere dal difensore, iscritto all’albo e munito di procura, affermando che non incidono eventuali situazioni di incompatibilità con l’esercizio della professione, quali quelli discendenti dalla qualità di pubblico dipendente, che, sanzionabili sul piano disciplinare, non privano della legittimazione alla professione medesima, fino a che persista detta iscrizione. Orientamento ribadito da ultimo da Cassazione n. 29462/2017.

Rileva solo per il profilo disciplinare? Stando così le cose mi pare evidente che l’incompatibilità rileva esclusivamente sotto il profilo disciplinare non avendo alcun riflesso sull’attività professionale svolta sin che perdura l’iscrizione all’Albo.

Si può allora limitarsi a intervenire sul codice deontologico e in modo particolare sull’art. 6 che disciplina appunto le situazioni di incompatibilità aggiungendo un numero 3 così organizzato. Visto:

– l’art. 2, L. n. 247/2012, il quale consente l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa per la prestazione di consulenza stragiudiziale non finalizzata al giudizio nell’esclusivo interesse del datore di lavoro o del soggetto in favore del quale l’opera viene prestata;

– l’art. 18, L. n. 247/2012, che sancisce l’incompatibilità fra esercizio della professione forense e rapporto di lavoro subordinato;

– l’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 (c.d. Jobs Act), che consente l’instaurazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito delle professioni ordinistiche e, quindi, anche all’interno degli studi legali;

– l’art. 3, L. n. 81/2017 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo), il quale, nei rapporti continuativi fra professionista e committente, impone che il contratto sia in forma scritta, qualora ciò venga richiesto dal professionista, e che non si possa recedere dallo stesso senza congruo preavviso e che i termini di pagamento non possano essere superiori a 60 giorni;

– l’art. 3, comma 4, L. n. 81/2017, che estende ai rapporti fra professionista e committente l’art. 9 L. n. 192/1998, in materia di abuso di dipendenza economica;

– i diversi disegni di legge presentati dall’On. Chiara Gribaudo e dall’On. Andrea Mazziotti nonché le proposte in discussione in seno al Consiglio Nazionale Forense e all’Organismo Congressuale Forense; (vedasi delibera ANF) non costituisce incompatibilità lo svolgimento di attività professione in regime di mono committenza a condizione che risponda ai seguenti requisiti:

a) sia fissato un congruo termine di durata e disciplinato il recesso;

b) sia stabilito un equo compenso;

c) gli oneri previdenziali siano posti a carico del committente;

d) sia prevista la possibilità di poter avere clientela propria usufruendo delle strutture dello studio ospitante.

Può essere una strada percorribile onde evitare di cimentarsi nella dicotomia lavoro subordinato – lavoro autonomo.