Italian Italian English English Arabic Arabic
Search

L’estensione dei permessi retribuiti per l’assistenza ai disabili nel decreto ‘Cura Italia’

LAW FIRM - STUDIO LEGALE PAOLO SPATARO > Law-Firm News  > L’estensione dei permessi retribuiti per l’assistenza ai disabili nel decreto ‘Cura Italia’

L’estensione dei permessi retribuiti per l’assistenza ai disabili nel decreto ‘Cura Italia’

1 . I permessi aggiuntivi di cui all’art. 24 del decreto «Cura Italia»: coordinate generali.

Segnatamente, il primo comma della disposizione prevede che «il numero di giorni di permesso retribuito coperto da contribuzione figurativa di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, è incrementato di ulteriori complessive dodici giornate usufruibili nei mesi di marzo e aprile 2020». Il secondo comma reca invece una disciplina speciale per il comparto sanità, stabilendo che «il beneficio di cui al comma 1 è riconosciuto al personale sanitario compatibilmente con le esigenze organizzative delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale impegnati nell’emergenza COVID-19 e del comparto sanità».

Per inquadrare i profili di maggiore interesse del nuovo beneficio è necessario tracciare sinteticamente le coordinate generali al cui interno esso si inserisce.

Come è noto, l’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, riconosce ai lavoratori del settore pubblico e privato il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere un familiare affetto da handicap in situazione di gravità, così come definita dall’art. 3, comma 3, della medesima legge. Analogo beneficio è attribuito per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente.

Accanto alle figure che la legge individua come beneficiarie dei permessi – e cioè il coniuge, nonché i parenti o affini entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti – la Corte costituzionale ha aggiunto anche il convivente more uxorio, in una prospettiva di parificazione della famiglia naturale alla famiglia di fatto come luogo di assistenza morale e materiale dotato di carattere di stabilità e reciprocità (Corte cost., 23 settembre 2016, n. 213).

Condizione per il riconoscimento del beneficio è che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno presso strutture pubbliche o private che assicurino assistenza sanitaria continuativa, a meno che quest’ultima non versi in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine o debba recarsi fuori dalla struttura per visite ovvero terapie certificate, con apposita documentazione sanitaria che attesti il bisogno di assistenza (cfr. Circolare Inps 6 marzo 2012, n. 32; Messaggio Inps n. 14480 del 28 maggio 2010 – Nota del Ministero del lavoro 20 febbraio 2009, n. 13). Analogamente, la fruizione dei permessi va concessa in caso di ricovero del familiare presso strutture residenziali di tipo sociale, quali case-famiglia, comunità-alloggio o case di riposo, perché queste non forniscono assistenza sanitaria continuativa (Cass. civ., 14 agosto 2019, n. 21416).

Sebbene la l.4 novembre 2010, n. 183, abbia abolito i requisiti della continuità e della esclusività dell’assistenza originariamente previsti dall’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992 (Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2018, n. 2819; Tar Trento, sez. I, 9 agosto 2018, n. 180), il diritto all’astensione dal lavoro resta saldamente ancorato all’effettivo svolgimento dell’attività assistenziale. Ed infatti, se è vero che per la fruizione del beneficio non occorre una continuità di presenza, rimane nondimeno necessaria la soddisfazione dell’esigenza cui è preordinato il diritto, la quale può concretizzarsi anche nell’adempimento di incombenze amministrative o pratiche, purché nell’interesse del familiare assistito. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione ha qualificato come «abuso del diritto» l’utilizzo del beneficio per finalità diverse, censurando da ultimo il comportamento di un lavoratore che si era recato dal padre disabile per soli quindici minuti nell’arco dei tre giorni di permesso (Cass. civ., 22 gennaio 2020, n. 1394, secondo cui tale condotta viola i principi di correttezza e buona fede, in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale». In senso analogo Cass. civ., 25 marzo 2019, n. 8310).

Questa correlazione è tanto più significativa alla luce dell’ampliamento dei giorni di permesso disposto dall’art. 24 del decreto «Cura Italia», nella duplice prospettiva delle garanzie che lo Stato offre per l’assistenza delle persone più vulnerabili in un contesto di limitazione generale degli spostamenti personali (cfr. i d.P.C.M. 8 e 9 marzo 2020), ma anche del dovere di utilizzo responsabile che esso sollecita quando la sospensione della prestazione lavorativa riguardi coloro che operano nei settori di pubblica utilità e dei servizi essenziali, ovvero in quelli produttivi non sospesi dal d.P.C.M.22 marzo 2020, specialmente ove rivestano un ruolo strategico nella gestione dell’emergenza.

2 . Primi nodi problematici: l’estensione dei permessi aggiuntivi ai lavoratori affetti da handicap grave e la loro possibile duplicazione.

In linea con la disciplina generale, gli ulteriori giorni di permesso regolati dall’art. 24 d.l. n. 18 del 2020, sono frazionabili in ore e possono essere utilizzati consecutivamente nello stesso mese. Sebbene la disposizione non sia particolarmente chiara, le dodici giornate aggiuntive sono da intendersi come monte complessivo del beneficio per entrambi i mesi di marzo e aprile 2020, durante i quali è pertanto consentita una sospensione dal lavoro della durata totale di diciotto giorni (tre per ciascun mese più dodici spalmabili). Con il messaggio n. 1281 del 20 marzo 2020, l’Inps ha altresì chiarito che i giorni di permesso di marzo 2020 non scadono il 31 marzo 2020, ma possono essere utilizzati anche ad aprile 2020.

La misura straordinaria introdotta dal decreto «Cura Italia» è destinata ad avere un impatto applicativo assai ampio, considerato che l’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, costituisce l’infrastruttura normativa a partire dalla quale sono state disciplinate, mediante apposito rinvio legislativo, ulteriori categorie di permessi differenziate quanto ai soggetti tutelati e a quelli beneficiari. Si tratta di una pluralità di strumenti di politica assistenziale il cui denominatore comune è la tutela della salute pisco-fisica del disabile quale espressione dello Stato sociale.

Al riguardo vanno menzionati: a) l’art. 33, comma 6, l. n. 104 del 1992, che estende i permessi di cui al comma 3 al lavoratore che versi personalmente in condizione di handicap grave, il quale può avvalersene in alternativa alle due ore di permesso giornaliero previste dal comma 2; b) l’art 42 d.lgs. n. 151 del 2001 (T.U. maternità-paternità), che attribuisce ai genitori lavoratori, anche adottivi, una serie di benefici per l’assistenza dei figli affetti da handicap grave, differenziati in ragione dell’età di questi ultimi, saldandosi con la previsione già contenuta nell’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992.

Nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione del d.l. n. 18 del 2020, l’estensione della durata dei giorni di permesso al di fuori di quanto espressamente previsto dall’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, è stata messa in dubbio, anche a causa delle informazioni contrastanti fornite dall’Inps (con il messaggio n. 1281 del 2020, cit.) e dall’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In realtà, l’applicazione del beneficio aggiuntivo anche alle altre fattispecie menzionate non ha ragione di essere contestata, essendo una conseguenza naturale dell’intreccio di rinvii che le discipline dettate per i casi particolari e quella introdotta per ragioni straordinarie di necessità e urgenza concentrano sulla regolamentazione di ordine generale. A risolvere la questione è tuttavia intervenuto il Ministero del lavoro, con un’apposita circolare diramata il 24 marzo 2020, nella quale si chiarisce che i dodici giorni di permessi aggiuntivi spettano anche nel caso dell’art. 33, comma 6, l. n. 104 del 1992, ovvero ai lavoratori cui sia stata riconosciuta personalmente una disabilità grave.

La medesima circolare ha altresì precisato che questi ultimi si raddoppiano qualora, sulla base della normativa generale, si abbia diritto a sei giorni di permesso per due familiari: in tal caso, i giorni di permesso retribuito aggiuntivi sarebbero trentasei (6 giorni a marzo + 6 giorni ad aprile + 24 giorni da poter utilizzare fra marzo e aprile). Al riguardo, va rammentato che le ipotesi di cumulo dei permessi ex art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, possono verificarsi:

a) quando il lavoratore assista due familiari disabili. In questo caso il cumulo è consentito quando la persona da assistere sia il coniuge o un parente o affine entro il primo grado. Esso è altresì consentito quando il vincolo sia di secondo grado, ma soltanto se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (cfr. art. 6, d.lgs. n. 119/2011, che ha novellato in tal senso l’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992);

b) quando il lavoratore sia personalmente disabile in situazione di handicap grave che assista un familiare nelle medesime condizioni. In questo caso il cumulo è stato ammesso dalla Circolare Inps 6 dicembre 2010, n. 13, nella quale, tuttavia, si invitano i dipendenti che intendano fruire dei permessi in maniera cumulativa di limitare la domanda alle situazioni in cui non vi siano altri familiari in grado di prestare assistenza, o non sia possibile soddisfare le esigenze di assistenza nel limite dei tre giorni mensili, considerato l’impatto delle assenze prolungate sull’attività amministrativa.

Una terza ipotesi, contigua a queste ultime, ma che comunque non determina la duplicazione dei permessi in capo allo stesso soggetto, riguarda il lavoratore che assista un familiare che sia a sua volta lavoratore disabile titolare di tali permessi (in tale evenienza il beneficio può essere riconosciuto al dipendente convivente che intende assistere un congiunto lavoratore in situazione di handicap grave, il quale fruisce dei permessi per se stesso, quando quest’ultimo abbia effettiva necessità di assistenza – verificata dalla commissione medica Inps – e sempre che non vi sia nel nucleo familiare un altro soggetto non lavoratore in grado di prestargli assistenza sia convivente. Cfr. circ. Inps Circolare INPS 18 febbraio 1999, n. 37; Messaggio Inps 30 dicembre 2011, n. 24705 e nota del Dip. Funz. Pubbl. del 5 novembre 2012, n. 44274, ove si esclude che i permessi debbano essere fruiti in giornate coincidenti da entrambi i soggetti).

Orbene, la Circolare del Ministero del lavoro del 24 marzo 2020, esplicativa dell’art. 24 d.l. n. 18 del 2020, attribuisce alle fattispecie indicate sub a) e sub b) un effetto moltiplicativo anche dei permessi aggiuntivi straordinari, raddoppiando questi ultimi da dodici a ventiquattro giorni, con interpretazione quantomeno praeter legem. Tale opzione, infatti, non trova conforto nel tenore letterale dell’art. 24 d.l. n. 18 del 2020, che qualifica espressamente come «complessive» le dodici giornate di permesso da utilizzare nei mesi di marzo e aprile 2020. In altri termini, è vero che il rinvio effettuato dalla disposizione straordinaria all’art. 33, comma 3, l. n. 104 del 1992, si propaga alle altre fattispecie che si agganciano alla disciplina generale, ma l’effetto di tale decalage incide soltanto sul campo di applicazione soggettivo dei permessi aggiuntivi e non già sulla loro entità quantitativa, che dovrebbe rimanere quella fissata dalla legge.

3 . La disciplina speciale per il personale sanitario: il diritto alla salute alla ricerca di una gerarchia impossibile.

Al netto delle questioni segnalate, i nodi problematici di maggior interesse si concentrano sul secondo comma dell’art. 24 d.l. n. 18 del 2020, ove è collocata la disciplina speciale per i lavoratori delle professioni sanitarie. A questi ultimi, i permessi aggiuntivi possono essere concessi a condizione che il mancato svolgimento della prestazione lavorativa sia compatibile con le esigenze organizzative del comparto che più di ogni altro è esposto allo stress test dell’emergenza e che per tale ragione necessita della presenza costante di medici, infermieri e tecnici di laboratorio, tutti congiuntamente impegnati a garantire i livelli essenziali delle attività di diagnosi, assistenza, cura e riabilitazione dei pazienti che hanno contratto il Coronavirus.

La disposizione in esame muta la configurazione giuridica del beneficio di cui all’art. 33, comma 3, l. n. 104 del1992, limitatamente alle categorie di lavoratori dalla stessa prese in considerazione e ai giorni di permesso che eccedono i tre garantiti in via ordinaria.

Nella specie, l’art. 24, comma 2, del decreto «Cura Italia» replica il modello di contemperamento degli interessi già adottato dall’art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, laddove si consente al lavoratore che assista una familiare con handicap grave discegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio di quest’ultimo «ove possibile».

Rispetto al modello generale, il beneficio straordinario riservato al personale sanitario perde il carattere potestativo, divenendo un diritto soggettivo condizionato. Da qui una fondamentale differenza sul piano applicativo: mentre i tre giorni di permesso ordinario continueranno a dover essere concessi a semplice richiesta, anche per il personale sanitario, configurandosi in tal caso una posizione di soggezione dell’amministrazione datrice di lavoro rispetto al titolare del beneficio, per quelli aggiuntivi ciascuna Azienda o ente del Servizio sanitario nazionale dovrà effettuare un apposito bilanciamento tra le proprie esigenze organizzative e la situazione personale del richiedente.

Allo stato attuale, diverse Regioni hanno fornito apposite linee di indirizzo con le quali si invitano le direzioni aziendali ad evitare di concedere al personale sanitario gli ulteriori giorni di permesso di cui all’art. 24, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, in considerazione delle condizioni di criticità in cui attualmente versano gli enti del SSN (cfr. ad. es. la direttiva dell’Assessorato Regionale della Salute della regione Siciliana, Dipartimento per la pianificazione strategica, 18 marzo 2020, n. 15497). Appare dunque preferibile che l’accoglimento delle richieste di permessi aggiuntivi formulate dalle categorie di soggetti cui si riferisce la norma sia espressamente motivata, con un ribaltamento dei principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di diritto al trasferimento del lavoratore per assistere il familiare in condizione di handicap grave ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, in base ai quali l’obbligo di motivazione sorge nel solo caso in cui sussista un impedimento oggettivo che non permetta di soddisfare la richiesta del dipendente (cfr. Cass. civ., 1° marzo 2019, n. 6150; Trib. Parma, sez. lav., 17 febbraio 2020, n. 26; Trib. Bologna sez. lav., 11 giugno 2012, n. 464, ove si precisa che il diniego del trasferimento non può essere subordinato a valutazioni discrezionali o di opportunità dell’amministrazione, dovendosi accordare prevalenza alla tutela della disabilità sulle ragioni di tipo organizzativo).

Il punto è che nel caso regolato dall’art. 24, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, non è possibile discutere di alcun impedimento oggettivo, nel senso che l’autorizzazione a fruire dei permessi aggiuntivi sarà inevitabilmente incentrata su una valutazione discrezionale in ordine alla comparazione tra gli interessi contrapposti. Operazione che appare ancora più delicata in relazione ai beni della vita in gioco e al loro pari rilievo costituzionale: travolto dalla forza delle cose, il diritto alla salute viene catturato da una gerarchia impossibile in cui la solidarietà familiare lotta contro la solidarietà sociale, imponendo una scelta tra l’assistenza agli affetti e quella alla collettività.

Si tratta di un bilanciamento inevitabilmente illusorio, poiché fondato su categorie costituzionali altrettanto contagiate dall’emergenza [Ruggeri, 2020, 368 ss.], davanti al quale è comunque necessario ipotizzare soluzioni e adattamenti che permettano agli operatori di applicare le misure eccezionali secondo criteri univoci. Per gli apparati burocratici è questo l’unico vaccino di cui non si può fare a meno quando il resto del quotidiano è già drammaticamente caotico.

Al momento, nessuna delle circolari diramate dal Governo e dell’Inps contiene indicazioni sui motivi che autorizzino a concedere la fruizione dei permessi aggiuntivi ex art. 24 al personale sanitario. In questa sede, pertanto, si può solo formulare qualche suggerimento.

Ferma l’esigenza generale di non privare le strutture ospedaliere di coloro che operano in «prima linea», se non in casi di assoluta e comprovata necessità, un possibile parametro di riferimento potrebbe essere rinvenuto nei «vecchi» requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza, oggi espunti dall’art. 33, comma 3, l.n. 104 del 1992. Questi ultimi potrebbero temporaneamente rivivere per orientare le scelte dei singoli presìdi sanitari di fronte ai casi in cui il soggetto richiedente sia l’unico a poter provvedere all’assistenza quotidiana della persona affetta da handicap grave. Detta condizione potrebbe essere comprovata attraverso una dichiarazione sostitutiva ai sensi degli artt. 46 e 47 d.P.R. n. 445 del 2000, rilasciata dal lavoratore sotto la propria responsabilità e allegata alla motivazione del provvedimento di concessione del beneficio.

Diversa appare invece la posizione del sanitario che intenda avvalersi dei permessi aggiuntivi in quanto soggetto personalmente portatore di handicap grave ai sensi dell’art. 33, comma 6, l. n. 104 del 1992. In tale ipotesi, è ragionevole ritenere che la richiesta debba essere accolta e che l’obbligo di motivazione riguardi soltanto la sussistenza di ragioni che ne impongano il diniego. Ed infatti, i permessi disciplinati dall’art. 33, comma 6, l. n. 104 del 1992, hanno natura ontologicamente diversa da quelli di cui all’art. 33, comma 3, essendo le due categorie accomunate unicamente dalla durata complessiva del diritto all’astensione dal lavoro. La differenza tra le due fattispecie è evidente, atteso che l’art. 33, comma 3, tutela la salute di soggetti terzi, mentre i giorni di permesso di cui all’art. 33, comma 6, consentono alla persona che versi personalmente in condizioni di grave handicap di auto-tutelare le proprie condizioni di salute, secondo un disegno che mira preservare il lavoratore disabile dall’aggravamento delle menomazioni già esistenti. Di fronte a tale ratio, la possibilità – purtroppo statisticamente frequente – che il personale sanitario contragga l’infezione nello svolgimento dell’attività lavorativa, dovrebbe indurre ad accordare prevalenza al diritto alla salute individuale, almeno ogni qual volta le patologie di cui è portatore il lavoratore disabile possano costituire un fattore di aggravamento o di rischio, alla luce delle acquisizioni scientifiche che collegano il tasso di letalità di Covid-19 alla particolare vulnerabilità dei pazienti colpiti. Una lettura, quest’ultima, che può essere avvalorata da quanto previsto dall’art. 26, comma 2, d.l. n. 18 del 2020, che, fino al 30 aprile 2020, equipara al ricovero ospedaliero i periodi di assenza dal servizio dei «lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.104, nonché dei lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992»,.

V’è solo da sperare che per tale data l’Italia abbia già iniziato la sua ripresa.

4 . Riferimenti bibliografici.

L. CALAFÀ, Modifiche alla disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità (sub art. 24, l. 183/10), in L. NOGLER-F. MARINELLI, La riforma del mercato del lavoro. Commento alla legge 4 novembre 2010, n. 183, Torino, 2012, 176 ss.; O. BONARDI, I diritti dimenticati dei disabili e dei loro familiari in seguito alle recenti riforme, in Riv. giur. lav., 2011, I, 791 ss.; E. VILLA, Permessi per assistenza a disabili in condizioni di gravità, in D. GAROFALO-M. MISCIONE (a cura di), Il Collegato lavoro 2010. Commentario alla legge n. 183/2010, Milano, 2011, 1015 ss.; R. RUBINO, Chiarimenti in materia di congedi e permessi per i familiari dei portatori di handicap grave, in Dir. rel. ind., 2012, 553 ss.; G. ZAMPINI, Conviventi e diritto al permesso mensile retribuito, in Lav. giur., 2017, 27 ss.; A. GABRIELE, Riposi, permessi e congedi, in A. BELLAVISTA-A. GARILLI (a cura di), Comentario al d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in E. GABRIELLI (diretto da), Commentario del codice civile, Bologna, 2018, 1489 ss.; A. MONTANARI, Permessi ex legge n. 104/1992 e ricovero in struttura di carattere non sanitario, in Lav. pubbl. amm., 2019, II, 195 ss.; V. ALLOCCA, L’abuso nella fruizione dei permessi retribuiti ex art. 33 l. 104/92 integra una giusta causa di licenziamento; in Riv. it. dir. lav. 2016, II, 747 ss.; M.P. AIMO, Licenziamento disciplinare per indebita fruizione dei permessi per l’assistenza a familiare disabile, in Giur. it., 2019, 1871 ss.; A. RUGGERI, Il coronavirus contagia anche le categorie costituzionali e ne mette a dura prova la capacità di tenuta, in Diritti regionali, 1, 2020, 368 ss.

(Fonte: giustiziacivile.com)

Clicca qui per consultare la sezione dedicata al decreto Coronavirus